Le opere di Oriana Sartore nascono dallo stupore o dal dolore. Nascono dalla vita. Oriana modella e scolpisce l’esperienza, ciò che accade alla sua esistenza. “Sono felice quando vedo che una cosa mi riesce ed è bella, se mi ‘dice’ qualche cosa; sono felice quando, dopo essermi messa davanti a un’opera che ho appena fatto, mi dico: ‘io ho fatto questa cosa?’; sono felice quando resto stupita davanti alla mia opera e non so cosa dire. Mi stupisco di averla fatta”. Mi racconta il suo sussulto creativo di gioia mentre ammiriamo le sue opere sparse nella casa e nel minuscolo ma grazioso giardino, una specie di “delizia” rinascimentale in miniatura. La forma delle sue opere porta nel nostro tempo la grazia e l’eleganza della “visione” rinascimentale; Oriana ci porta all’origine, prima della decostruzione della forma operata dalle Avanguardie all’inizio del Novecento.
Un altro modello della sua forma sta tra l’arte levigata e pulita di Canova e quella più tormentata ma classica di Rodin. Parliamo di “pugni nell’occhio” per una certa ‘moderna’ sensibilità contemporanea, ma Oriana non si scompone e tira avanti per la sua strada. Una strada che inizia come scultrice nel 2007, in cui scopre la sua forma creativa più trascinante, frequentando l’atelier di Elena Ortica a Dosson di Casier (TV). Da allora Oriana Sartore parla di sé attraverso le sue terrecotte, sussurrando in modo discreto profonde percezioni della vita. Questa sensazione viene innanzitutto dall’infanzia, la prima fonte di ispirazione per Oriana. Le tre “bambine” presenti in mostra colgono da tre sfaccettature diverse ma vicine l’essere dell’artista stessa in un atteggiamento-archetipo di fronte alla vita: lo stupore pensoso e grato. Una forma che assume questo stupore è quella della danza: Oriana vede nella danza l’essenza della vita come movimento, leggerezza, eleganza, ritmo. Sia “La Danzatrice – Omaggio a Canova” che i più recenti “Sufì” esprimono il moto e la levità: pur in modo molto diverso sembrano dominare la gravità e levitarsi nell’aria. Così, con queste linee avvolgenti verso l’alto (nella “Danzatrice) e questa leggerezza “volumetrica” (nei “Sufi”) Oriana esprime il suo desiderio di Ideale, cioè di perfezione e bellezza assoluta.
La stessa "nostalgia" platonicache si ritrova in "Sguardo": nello sguardo si manifesta l'interiorità di Oriana, fatta di sensibilità e tenerezza per tutto ciò che appartiene alla vita. E questo si può percepire in quest'opera. Così come si esplica nelle donne di colore, quì rappresentate in "Giovane donna africana". Dice la stessa autrice:"Per me le donne di colore rappresentano una donna molto dolce e mi affascinano perchè fin da piccola le vedevo come qualcosa di molto diverso da noi; mi piacciono gli occhi languidi nei quali si riflette la sofferenza subita dalla loro cultura.
Ho sempre visto nei volti neri una nostalgia dentro e mi sembra di averla catturata: è una donna dolcissima, in cui c'è anche qualcosa di mio, ma volevo esprimere questa idea di femminilità". L'altra grande fonte di enerrgia creativa delle opere di Oriana Sartore è il dolore. "Il Crocifisso" rappresenta la morte di mio padre: nel crearlo ho rivissuto il suo abbandono al Padre della vita negli ultimi istanti e ho cercato di imprimerlo nel suo volto. Certo ci sono delle imperfezioni, ma la sua creazione mi ha fatto fare un percorso bellissimo". Oriana parla dell'opera come di una esperienza di tormento creativo e di cammino di cambiamento che le ha fatto rivivere la morte del padre. Ma il dolore è sereno, nelle opere di Oriana: porta dentro una pace e una speranza nascosta e segreta, ma che infonde grande abbandono e calma fiduciosa anche a chi le ammira. Come nella "Annunciazione"; essa è stata creata nel mese di marzo di quest'anno in una febbrile attività creativa, sull'impeto della morte di Alfredo Truttero, il Maestro da cui Oriana ha ricevuto il metodo del disegno e la compagnia di un artista profondamente cristiano. " Dopo il funerale sentivo che dovevo esprimere qualcosa del mio dolore. Mi ha colpito una frase che diceva Alfredo nei mesi della sua dolorosa malattia: 'il sì di Maria non era tanto diverso del sì della Croce'. Allora ho pensato di rappresentare l'Annunciazione, perchè dopo un lutto si riparte sempre da quel sì".
L' "Annunciazione" presenta un singolare incrociarsi delle direzioni dei volti della Madonna e dell'Angelo: la mancanza di frontalità rispetto a noi che guardiamo è inquietante perchè non permette di "assistere" alla scena con distacco. Per cogliere la tensione emotiva degli sguardi occorre spostarsi e incrociare lo sguardo, prima di Maria e poi dell'Angelo. Oriana ci fa così entrare dentro la intensità emotiva e affettiva di quello sguardo all'Angelo che ha preceduto il sì di Maria.
L'Angelo coglie di sorpresa Maria che si volge verso di lui: per dire di sì Maria deve voltarsi e guardare da un'altra parte rispetto a dove guardava prima. E' l'essenza della vocazione: l'essere chiamati a dare la propria vita perchè un Altro operi attraverso di essa. E' avvenuto così per Maria, è avvenuto così per Alfredo che ha detto il suo sì nel dolore, avviene così per l'artista che attraverso la sua opera dice di sì all'Essere che vuole parlare attraverso di lei.
Ma per dire sì occorre avere il coraggio di volgersi altrove rispetto a dove abbiamo intenzione di andare. Oriana accarezza il volto della Madonna come se fosse il volto di una prsona cara viva; segno questo che la scultura è per lei un oggetto vivo e caro come un figlio. E' commovente il suo modo di trattare il tema della maternità/paternità e della famiglia. Non è un discorso che interessa fare a Oriana, ma una comunicazione di sé. Nella "Sacra Famiglia" e nella "Fuga in Egitto" Oriana ci comunica l'intensità affettiva che caratterizza la famiglia sacra. In quest'ultima opera un angelo guida i "profughi" ad indicare, come tanti suoi angeli, il tocco e la presenza del divino dentro l'umano. Gli animali non hanno un grande posto nelle opere di Oriana, ma quì l'asino prorompe con imponenza dal piano dell'altorilievo come espressione della Natura: l'angelo e l'animale, come nella Natività a Betlemme, annunciano la diversità di quella Famiglia umana-divina. Quella famiglia così debole e così umana nella fretta della fuga e nella tenerezza dell'abbraccio, è adombrata nel gruppo padre-figlio intitolato "Carlo e Giacomo", il figlio e il nipote dell'artista, a dimostrare che Oriana non sa parlare di sé senza suggerire il Mistero e non sa accennare al Mistero senza coinvolgerlo nella sua esperienza. In quel gruppo l'amore (ma bisognerebbe scriverlo con la maiusola) prende forma fisica diventando "pietra". Così come in tutte le sue opere, è l'amore il protagonista che si esprime in mille forme, come sguardo, nostalgia, desiderio, aspirazione e he prende vita e materialità come linea dolce e precisa, cura del dettaglio per rendere le mille sfaccettature della realtà, con un infinito rispetto delle forme, per comunicare la felicità pensosa dell'artista nel gesto creativo.
(luglio 2015) Giulio Zennaro